Lo guardo e penso a quanti occhi lo abbiano consumato nei secoli. Odiato da tanti, amato da molti, temuto da altri. Erano occhi di chi arrivava, partiva, scappava, si nascondeva. Occhi nell'aria e occhi subacquei voraci di verdesche, spalancati di acciughe e innocenti di pulcini di gabbiano.
Il "Monte"anche oggi se ne sta un po'distaccato, impassibile alle chiappe dei turisti, a tutta la plastica galleggiante che lo assedia, ai ronzii dei motori che lo appestano. Lui è altero, barbuto, azzimato, ossuto; ha un carattere scontroso, non gli si garba mai. Da solo precipita la sua frana di verde brillante e scuro fino a sprofondarla in acqua. Ogni tanto esagera e lancia qualche masso, tanto per tener lontano qualcuno, l'ultimo grande come una stanza. Nel suo essere autistico, qualche messaggio cerca di darlo, con fatica cosmica allunga il dito di roccia di Punta Chiappa verso ponente. Lo fa convinto che quella specie di indice di conglomerato di Portofino basti contro il mare. La "ciappa", punta Chiappa, taglia, affetta sega il mare da ponente e si lascia scavalcare da quello tiepido di scirocco. Lo fa per ricordare tutti i suoi pescoei che lo hanno guardato con rispetto da sempre. Ricorda con nostalgia quelli burberi e romantici che hanno composto la poesia alla madonnina della Stella Maris.
Un giorno di qualche anno fa ero la a fotografare: nessuno, sole basso autunnale e una di quelle mareggiate di libeccio da leggenda. Mi è tornata in mano una di quelle vecchie foto durante il rovistare da trasloco. Ho rivisto quel gozzo all'ancora a Porto Pidocchio e me lo rivedo ancora salire e scendere da colline d'acqua, che si accavallavano e si azzuffavano ad onde di rimbalzo.... Era una visione infernale,magnetica, bellissima e feroce come la morte incombente.
Oggi nell'anfiteatro davanti a casa mia suona una musica dolcissima, allora era fragore e boati. Oggi sono note dei valzer per solo piano di Chopin e ieri percussioni di tamburi selvaggi di tribù in guerra.
Il mare e' uno spazio che non ci chiude mai gli occhi della fantasia. Lui ci richiama sempre altrove. E' strano, ma sulla riva del mare ci si sente inquieti, provvisori, si ha sempre la sensazione di qualcosa che deve accadere. Penso che sia lui che chiede attenzione e si diverte a metterci ansia. Quella sua linea dell'orizzonte oltre la quale c'e' sempre qualcuno che va e qualcuno che arriva, quel suo cielo strano pieno di sole e pieno di passaggi, sono bersagli mobili dove l'occhio si perde e la mente vaga.
La gente in spiaggia perde se stessa, diventa un manichino, un bipede ignudo, meschino, squallido. Diventa un uccello che perde il piumaggio colorato con cui si identifica e si porta in giro senza dignità tutti i difetti della sua specie. La genetica è piena di fantasia, spesso buffa, sadica, cattiva. La bellezza non sta a riva su due piedi, lei se ne sta seduta la in mare.
Forse ha ragione Cesare ad ammirare le falesie, a ricordare quello che testimoniano, andando oltre la bella cameriera del Laguna blu beach. Anche i nomi sono quasi sempre fuori luogo e mancano di senso del posto dove sono. Posticci come tutte le attività che assediano il mare. D'altra parte c'è lui che rende tutto provvisorio, monentaneo, aleatorio, precario. Così il Laguna Blu Beach della bella ragazza, alla fine ha ragione Cesare: meglio ricordare la palude che scivolava nel vallone dalle montagne fino all'attuale Sestri Levante e mischiava acque dolci e salmastre, come fanno i bambini che giocano con la sabbia. Parlare con Cesare fa sognare, sarà lui, sarà il mare, ma quelle dune, quelle canne e tutta la sua vita quasi le vedo, le sento!
Quell'orizzonte tira una linea curva celeste scuro , di la c'è il resto del mondo. Girato quell'angolo stirato a 180 gradi ci sono i quattro quinti liquidi del pianeta e miliardi di bipedi che tentano di guardare fin qua.
Guardare il mare, fiutare la sua aria, tirare un gran respiro e riposare dentro.
(testo by A. Colantuoni)